Icona francescana

di Luciano Svegliado

Fra' Dionisio con una capretta tra le braccia

Questa foto risale alla fine degli anni '40, quando Cittadella usciva faticosamente dalla guerra e per non pochi dalla fame. "Io frequentavo saltuariamente il convento dei Frati perché ospitavano i “profughi giuliani” e tra loro, un mio compagno di scuola. Avevo visto dei frati “dotti”, severi, senza sorriso che accudivano questi ragazzi, ma senza particolari emozioni". Ma il mercoledì, giorno in cui era permessa la questua in centro entro le mura, passava per le case un lunga teoria di mendicanti e, tra loro, anche un frate. Alto, magro ma imponente, portava a bigonce una bisaccia nella quale vuotava la scodella di farina o il pane che riceveva, mentre con un rituale di arcana eleganza, agitava la grande manica del saio e vi faceva sparire l’offerta. A tutti chiedeva e rispondeva con infinita modestia solo con un sorriso, con una sommessa giaculatoria, con una carezza sfiorata ai bambini. Due lunghi piedi, rigorosamente scalzi, reggevano una figura essenziale di grande apparenza mistica, racchiusa in un dignitoso saio rattoppato. C’era qualcosa che mi "impressionava" in quel frate ed era l’aderenza a certi racconti biblici, a certi concetti morali che in quel periodo di catechismo intensivo ed obbligatorio, dovevamo conoscere "a memoria", ma che per l’età che avevamo o per il momento storico, ci suonavano solo come nozioni obbligatorie. Seppi che si chiamava Fra' Dionisio solo quando, molto dopo, con la macchina fotografica tra le mani, lo rividi a ridosso del Convento con una capretta che lo rincorreva chiamandolo con un belato. Con la mediazione di Padre Flavio, mio insegnante di francese, riuscii a chiedergli qualche foto. Accettò quasi per obbedienza verso il "superiore" e con grande imbarazzo, rifugiandosi nell’affettuosa considerazione per la capretta che gli era saltata in braccio. L’immagine che ne uscì mi sembrò deludente, perchè non esprimeva compiutamente il carisma francescano di quella creatura, perchè la virtù dell’umiltà, il sorriso serafico che mi avevano toccato, erano irriproducibili. A distanza d’anni, confesso la mia presuntuosa ingenuità : ora che la vita e l’esperienza hanno precisato i contorni dei veri sentimenti, solo ora sento nella pienezza il silenzioso, possente messaggio di questo frate, vivo e attivo solo "a Sua immagine".

- dalla testimonianza di Luciano Svegliado